Un nuovo festival sulla Sicilia e le
altre isole
“La Sicilia è terribilmente di moda nel cinema”, scriveva Leonardo Sciascia nel 1963. Sono passati più di sessant’anni e possiamo dire lo stesso. Avete visto quanti film siciliani sono usciti nell’ultima stagione? Solo fra i principali, Iddu di Grassadonia e Piazza, Eterno visionario di Placido, Fino alla fine di Muccino, L’abbaglio di Andò, Io sono la fine del mondo di Nunziante e Paradiso in vendita di Barbareschi; e poi i film non ambientati in Sicilia ma comunque girati sull’isola, da The End di Joshua Oppenheimer a Queer di Luca Guadagnino – per non parlare delle serie Tv (il nuovo Gattopardo, le nuove stagioni di Makari, di I fratelli Corsaro, di Viola come il mare, mentre ancora risuonano gli echi dell’Arte della gioia della Golino e dei Leoni di Sicilia di Genovese).
La regione più grande d’Italia è sempre stata teatro di Storia e di storie: crocevia del Mediterraneo, punto strategico per invasioni o liberazioni (si pensi all’impresa dei Mille e allo sbarco degli Alleati), laboratorio privilegiato di esperienze politiche, marchio turistico riconosciuto in tutto il mondo, anche nei suoi aspetti deteriori, ora peggiorati ora mitizzati per esigenze commerciali.
Ma se la Sicilia ha un richiamo così forte, fino a tramutarsi in un vero e proprio “brand” da vendere sul mercatino globale del folklore, è anche per la sua natura di isola, una caratteristica geografica che contiene di per sé una dimensione culturale e un richiamo allegorico molto forti. Solo limitandoci al cinema, qualunque terra circondata dalle acque si è prestata e continua a prestarsi assai al discorso metaforico, alla parte traslata per il tutto, in funzione storica (Duello nel Pacifico), politico-filosofica (Il signore delle mosche), esistenziale (Cast Away), microcosmo in cui le emozioni vengono compresse e ingigantite, siano di natura erotica (Laguna blu) o mostruosa (King Kong), occasione per esperimenti utopici (L’incredibile storia dell’Isola delle Rose), ovvero semplicemente per la grande avventura (i vari L’isola del tesoro); infine versione extralarge del concetto di prigione, declinata come giallo (Dieci piccoli indiani), dramma carcerario (Papillon, Fuga da Alcatraz), incubo psicanalitico (Shutter Island), fino al recente filone degli atolli esclusivi teatro di violenze perverse (Blink Twice).

Bagheria era una candidata naturale per ospitare questo nuovo festival cinematografico, è anzi singolare che nessuno avesse ancora provato a organizzarvene uno. Culturalmente Bagheria è terra fertile, ha dato i natali al pittore Renato Guttuso, al fotografo Ferdinando Scianna, al poeta Ignazio Buttitta; e al regista Giuseppe Tornatore, che le ha dedicato Baarìa, come la città viene chiamata nel dialetto locale.
Ricollegandosi idealmente al film di Tornatore, il Baarìa Film Festival lancia dunque nel 2025 la proposta cinematografica di un rassegna internazionale, con opere provenienti da tutto il mondo, legate dalla tematica dell’“isola”. La Sicilia non sarà dunque l’unica protagonista ma resterà comunque in primo piano, con la riproposizione di film ambientati in loco o relativi a personaggi siciliani, includendo omaggi e restauri. Accanto ai lungometraggi, una sezione dedicata ai cortometraggi incentrati sulla Sicilia o su altre isole del globo getterà uno sguardo sui cineasti di domani.
Il Baarìa Film Festival sarà il ponte della Sicilia verso l’Italia e il resto del mondo, un evento fortemente radicato nel territorio ma non autoreferenziale. Un’occasione per godere del buon cinema, cercando la fruibilità senza appiattirsi verso il basso, evitando i percorsi accidentati dello sperimentalismo senza rinunciare alla qualità. Un arcipelago di storie in movimento, per riscoprire la regione e salpare verso le altre “sicilie” sparse per il globo.
Alberto Anile (direttore artistico BFF)
